Toglie le zecche con una pinzetta, una a una. La bufala resta ferma, immobile, si fida. Non è romanticismo, è manutenzione: della terra, del corpo, della relazione.

Barriere, sorveglianza, distanza. Open space, vetro, connessioni simulate. Il contatto si evita, la presenza si delega.

Parlare di sostenibilità, ordinare il pranzo, uscire per staccare. Movimenti in tutte le direzioni, nessuna profondità. Andare a fondo richiede uno sforzo che non sappiamo più fare.

Stanno lì. Uno serve, l’altra accetta.
La grammatica elementare della coesistenza.

Toglie le zecche con una pinzetta, una a una. La bufala resta ferma, immobile, si fida.

Non c’è fretta, non c’è tensione, è un gesto antico e semplice, ripetuto tante volte. Un uomo e un animale che condividono lo stesso spazio, lo stesso tempo. Non è folclore, non è scena da cartolina, è manutenzione quotidiana della relazione. Nessun prodotto da vendere, nessun dato da registrare, nessuna applicazione che tenga traccia.

Nel 1972, il re del Bhutan Jigme Singye Wangchuck disse che la felicità conta più della ricchezza economica. Da lì nacque il FIL: Felicità Interna Lorda (Gross National Happiness, GNH), un indice nazionale che cerca di misurare la qualità della vita attraverso parametri come il benessere psicologico, il rapporto con l’ambiente, la salute, il tempo, la comunità. Non solo quanto un Paese cresce, ma quanto è in equilibrio. Non solo quante cose produce, ma come vive chi le fa.

Un’idea che sembra utopica finché non ci si imbatte in un pastore e la sua bufala, fermi nel silenzio di un villaggio tra le montagne. Non è un modello da esportare, non è nemmeno un esempio da imitare. Ma è un promemoria. Che il benessere esiste anche fuori dagli indicatori, che ci sono luoghi dove il tempo non è perso, ma usato. Dove il contatto non è eccezione, ma abitudine, dove la connessione non è un servizio, ma una conseguenza.